Olivetti, oltre l’impresa

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A Ivrea il complesso di edifici industriali della Olivetti, tra le aziende italiane più innovative di tutti i tempi, avviata dall’imprenditore Camillo Olivetti nel 1908 e progettata dai più famosi architetti e urbanisti italiani del Novecento, ha recentemente ricevuto la nomina di Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Il sito comprende 27 tra edifici e complessi architettonici, realizzati nel 1896 e poi ampliati dal figlio Adriano tra il 1939 e il 1962. L’ampia struttura ospitava il Centro Studi ed Esperienze, la centrale termoelettrica, una mensa, un asilo nido, ambulatori, le case del Borgo Olivetti e del Quartiere Castellamonte, due palazzi uffici e un’unità residenziale in centro città.

Adriano Olivetti, attraverso una concezione umanistica del lavoro, ha cercato di dare una risposta all’industrializzazione intensiva di quegli anni che non considerava ancora i bisogni e il benessere delle persone. L’imprenditore-intellettuale, guidato dalla sua visione, rivoluzionò il modo di lavorare, mettendo al centro del processo produttivo i lavoratori e la loro condizione personale, sociale e culturale. Si pensi alle relazioni con i sindacati e ai rapporti con i dipendenti che seppe creare grazie a un ambiente umano e ricco di stimoli, non perdendo mai di vista produttività ed efficienza aziendale.

Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Olivetti era diventata una vera e propria multinazionale che competeva con gli Stati Uniti e con le grandi nazioni industriali europee, cosa non facile in un paese come l’Italia.  Fondamentale fu il ruolo dell’America nella storia di Olivetti, vissuto come preciso riferimento a cui ispirarsi. Sia Camillo che Adriano, infatti, compirono diversi viaggi oltre Oceano per lo studio e la ricerca di realtà industriali all’avanguardia. Visitarono le fabbriche statunitensi per analizzare i processi industriali, i macchinari tecnici e l’organizzazione tayloristica della produzione. Appresero inoltre l’efficacia del ruolo della pubblicità e della comunicazione, strumenti già a quell’epoca indispensabili per consolidare l’identità dei prodotti e della loro accessibilità da parte dei consumatori.

Adriano Olivetti all'interno della fabbrica osserva gli operai al lavoro

La Olivetti seppe inoltre interpretare meglio di chiunque altro quell’ambizione dell’industria di farsi motore e modello di crescita e sviluppo della società nel suo insieme. Per questa ragione assumono notevole rilevanza i significativi e intangibili risvolti che la Olivetti ebbe dal punto di vista sociale, attraverso una formulazione politica programmatica che si concretizzò con la nascita del movimento Comunità.  Adriano Olivetti aveva sviluppato un progetto culturale in cui il profitto e l’etica potessero integrarsi. “Crediamo profondamente alla virtù rivoluzionaria della cultura” – affermava l’imprenditore – “La cultura ha un ruolo preminente, noi guardiamo all’uomo e nessun sforzo durerà nel tempo se non sapremo elevare l’animo umano”. La cultura crea valore ed egli si circondò di intellettuali e uomini di spessore tra cui poeti, storici, architetti, artisti (si pensi ad esempio a: Riccardo Musatti, Giorgio Soavi, Giovanni Giudici, Paolo Volponi, Ottiero Ottieri, Marcello Nizzoli, Figini e Pollini, Ettore Sottsass per citarne alcuni), accumunati da quel contagio del gusto per immaginare il nuovo e dalla voglia di sperimentare e pensare alle fabbriche meccaniche come l’unione di cultura materiale e cultura spirituale umanistica. Creò così uno straordinario laboratorio di idee e progetti, che col tempo divenne anche una biblioteca da 150 mila volumi, un centro studi, un luogo espositivo per mostre e concerti.

L’approccio di Adriano Olivetti si estese a tutti gli aspetti della modernità descrivendone un paesaggio vario e composito che non trascurò nessun aspetto: dalla comunicazione pubblicitaria all’editoria, dalla ricerca tecnologica al design, dai valori etici e sociali agli aspetti politici.  In particolare, la sua attenzione all’Architettura e all’Urbanistica portarono l’Italia nel cuore della discussione sul linguaggio della nuova architettura industriale dei caratteri tipologici dei suoi luoghi di produzione: la stessa sede di Ivrea ad opera degli architetti Figini e Pollini nel 1934-35, la fabbrica di Guarulhos in Brasile realizzata dall’architetto Marco Zanuso nel 1956-1961, la fabbrica di Harrisburg in America ad opera di Louis Kahn nel 1966-1970 , il training Center di Hasmelere in Inghilterra su progetto di James Stirling & Partners del 1968-1972, i laboratori e i magazzini in Giappone di Kenzo Tange del 1972. E che dire della stupenda realizzazione di Pozzuoli con la fabbrica e gli uffici che si affacciano sul golfo di Napoli, segno di un’unione perfetta tra natura e architettura.

La Olivetti, incentrata sulla produzione di macchine da scrivere, ha da sempre dedicato le proprie risorse allo sviluppo e all’elaborazione di modelli ad alto contenuto estetico-funzionale, che nel corso del tempo si sono trasformati in vere e proprie icone di design trovando spazio nei musei più importanti del mondo. Si pensi alla famosissima Lettera 22 che vinse il Compasso d’oro nel 1954, la Valentine disegnata da Ettore Sottsass, macchina portatile con il suo involucro rosso in plastica stampata, la serie Divisumma realizzata con pelli sensibili che Mario Bellini sperimentò attraverso l’uso delle membrane continue in gomma morbida, gli arredi per ufficio della serie Spazio del 1960, il Sistema Arco del 1962 dello studio BBPR.

Macchina da scrivere Olivetti con scocca rossa e tasti bianchi e neri

Nel 1952 Adriano Olivetti avviò anche un centro di ricerca negli Stati Uniti sui calcolatori elettronici e costituì la Divisione Elettronica guidata dall’ingegnere italo-cinese Mario Tchou e dal figlio Roberto che, grazie al design di Ettore Sottsass, realizzarono il primo calcolatore elettronico Elea 9003, facendola diventare nel 1960 il diretto concorrente di Big Blue, IBM.  La scomparsa improvvisa di Adriano durante un viaggio in treno, così come la morte di Tchou l’anno dopo, arrestarono la grande corsa all’innovazione tecnologica di Olivetti, lasciando gli americani soli alla guida della rivoluzione tecnologica.

Per approfondimenti:

La Stampa

Manolo De Giorgi, Enrico Morteo, Olivetti: una bella società, Catalogo della mostra per il centenario della nascita dell’azienda, Allemandi &C, 2008.

Marco Peroni – Riccardo Cecchetti, Adriano Olivetti un secolo troppo presto, Becco Gallo Srl. 2011, prima edizione.

Adriana Castagnoli, Essere impresa nel Mondo, Il Mulino  2012.