Boom di dimissioni tra i giovani

Boom di dimissioni tra i giovani, perché il mondo del lavoro sta cambiando

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Il Corriere della Sera lancia l’allarme sull’occupazione dei giovani. Dai dati riportati sul quotidiano nazionale, emerge un boom di dimissioni volontarie da parte delle nuove generazioni, in particolare per quanto riguarda gli impiegati neoassunti nelle aziende del Nord Italia.

Il motivo? I giovani non sono solamente alla ricerca di migliori condizioni economiche, ma di un ambiente lavorativo che li soddisfi anche a livello umano. Etica dell’azienda, prospettive di crescita e rapporti con i colleghi sono alcune delle variabili che fanno pendere l’ago nei confronti di un impiego piuttosto che un altro.

I nuovi assunti sembrano infatti cercare un miglior equilibrio tra vita privata e professionale. Inoltre, i recenti cambiamenti della fase pandemica, hanno portato molte persone a interrogarsi sul proprio stile vita, con un cambio di abitudini e di aspettative professionali.

In più, con la ripresa del mercato dopo due anni di lockdown intermittenti, le nuove opportunità professionali non mancano. Quale migliore occasione, dunque, per cambiare lavoro?

 

Quali sono i settori più colpiti dal boom di dimissioni

 

Secondo i dati riportati dal Corriere, elaborati dall’Associazione per la Direzione del Personale, i settori da cui i giovani stanno “fuggendo” sono nell’ordine: Informatico e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing e Commerciale (27%).

Il 60% delle 600 aziende prese a campione dal Centro Ricerche Aidp si sono trovate costrette a far fronte all’improvviso boom di dimissioni dei dipendenti di età compresa tra 26 e 35 anni. Tra queste sono numerose quelle con un atteggiamento attendista verso il fenomeno, mentre il 55% prevede di sostituire le risorse nel breve periodo con contratti a tempo determinato o indeterminato e il 25% approfitterà di questo boom per riorganizzare la struttura produttiva.

La scia della Great Resignation americana

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Il fenomeno delle “dimissioni di massa” è a un punto critico anche in America, dove ha assunto addirittura una definizione propria: “Great Resignation”. Secondo i dati di McKinsey riportati da Forbes, nel 2021 sono più di 20 milioni gli americani ad aver rassegnato le dimissioni.

Per far fronte a questa problematica, le aziende statunitensi si stanno attrezzando per cercare in ogni modo di trattenere i talenti all’interno della propria struttura. Sono nate così nuove figure professionali dedicate al supporto dei dipendenti e alla pianificazione di strategie per migliorare il luogo di lavoro favorendo rapporti umani e interazioni sociali.

Altre, come Amazon, hanno offerto bonus economici, mentre Walmart ha incrementato il salario minimo, portandolo quasi al doppio di quello imposto dal sistema federale. Google, invece, investe nella formazione del personale e, dall’altro lato, diventa meno esigente in fase di colloquio e di assunzione.

I settori più colpiti dalla Great Resignation americana sono Tech e Sanità, ovvero quelli che durante i due anni di pandemia hanno visto aumentare in modo esponenziale la mole di lavoro. Lo stress e il burnout, uniti alla difficoltà sempre maggiore di separare vita privata e professionale a causa dello smart working, hanno alimentato il fenomeno delle dimissioni di massa.

 

Boom di dimissioni, fenomeno temporaneo o tendenza destinata a durare?

 

Le dimissioni “di massa” rappresentano uno dei segnali più evidenti del cambiamento di abitudini e di pensiero dovuto alle conseguenze di tutte le manovre attuate per il contenimento del Covid-19.

Per questo motivo, il fenomeno potrebbe prolungarsi nel tempo e costringere le aziende a implementare le proprie strategie per rendere il luogo di lavoro “desiderabile” come una volta. Solamente comprendendo le nuove esigenze dei lavoratori e mettendole al centro dei processi interni e del design dello spazio, sarà possibile frenare il boom di dimissioni.