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Le imprese italiane sono a rischio di estinzione?

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I numeri dell’imprenditoria giovanile in calo e la mancata vocazione da parte di molti italiani nel portare avanti il lavoro dell’azienda di famiglia, potrebbero minacciare il tessuto di piccole e medie imprese su cui si basa l’economia del Belpaese. Economisti e studiosi lanciano l’allarme: il 2050 segnerà la fine dell’Italia per come la conosciamo oggi? Ecco quale potrebbe essere il futuro delle imprese italiane.

 

Le previsioni degli esperti

 

Un articolo apparso sul magazine “Il Settimanale” ha aperto gli occhi su un’importante tematica legata all’imprenditoria nel nostro Paese. Secondo le parole dell’economista Fabio Papa, fondatore del Centro di ricerca di economia applicata per lo studio delle imprese e dei territori, la situazione non è delle più rosee.

I suoi studi, infatti, rivelano che le aziende italiane sarebbero a rischio di “estinzione” in un orizzonte neanche troppo lontano. Dei 4,5 milioni di imprese nazionali, quasi tutte piccole o medie, l’83% è a conduzione familiare. Arriverà presto il momento in cui i giovani dovranno prendere il posto dei loro parenti più anziani alla guida delle società e Papa non ha pensieri confortanti al riguardo.

Oggi sono 3,5 milioni gli under 35 disoccupati (che non studiano, né lavorano). Per quanto riguarda il livello di istruzione, solamente 62 italiani su 100 sono in possesso di un diploma, 16 su 100 della laurea e unicamente 4 su 100 seguono percorsi di formazione professionale mentre lavorano. Numeri da piena crisi culturale.

Il 70% dei giovani proviene da famiglie imprenditoriali e il trend che li porta a non voler proseguire l’attività dei genitori è sempre più diffuso. Se è vero quindi che la continuità generazionale è positiva per non snaturare le piccole e medie imprese italiane, in mancanza di “successori” capaci, gli imprenditori dovranno trovare soluzioni alternative.

 

Il pessimismo sul futuro aziendale

 

Papa non è l’unico studioso che ha iniziato a riflettere sul futuro del tessuto economico italiano. L’International Business Report del 2022 della società di consulenza Grant Thornton ha infatti riportato come l’ottimismo economico delle imprese nel nostro Paese sia sceso del 15% rispetto al 2021.

Il 63% delle aziende si dichiara preoccupato dall’incertezza economica, che considera il principale ostacolo verso la crescita, mentre l’aumento dei costi di energia è al centro dei pensieri del 62% delle imprese. Il 57% degli intervistati trova invalidante anche l’incremento del costo del lavoro.

 

Imprese italiane: il tema dei giovani

 

Uno studio di InfoCamere basato sui dati delle Camere di Commercio ha invece analizzato il trend degli ultimi dieci anni in tema di imprese giovanili in Italia. Un modo per compensare il mancato turnover nelle aziende di famiglia, è infatti rappresentato dalla nascita di nuove imprese. Peccato che anche questo numero fatichi a tenere il ritmo positivo dei decenni passati.

Se alla fine del 2012 la percentuale di imprese giovanili registrate era dell’11,1%, al termine del 2021 queste erano appena l’8,9% del totale. In primis a causa della curva demografica in drastico calo: l’Italia è un Paese “vecchio” e, delle 675mila imprese “young” in archivio dieci anni fa, oggi ne sono scomparse (per raggiungimento dei 35 anni di età o per chiusura definitiva) ben 137mila.

L’importanza dei giovani per il tessuto imprenditoriale italiano è fondamentale, ma il crollo delle nascite e la mancanza della vocazione imprenditoriale rappresenta un ostacolo per il Belpaese. L’invecchiamento delle aziende non è sentito nello stesso modo in ogni regione. Le più bloccate, al momento, sono quelle centrali come Abruzzo, Marche, Molise, Toscana e Umbria, anche se la contrazione di imprese giovanili ha registrato numeri importanti anche in Lombardia (-16.900) e in Sicilia (-15.900).

 

Come invertire il trend e salvare le imprese dal rischio di estinzione?

 

Lo scarso turnover di giovani significa, oltre a mancata crescita e rischio per la continuità delle imprese familiari, anche occasioni perse per innovare, sviluppare nuove idee e mercati. La spinta positiva delle generazioni più anziane, che ha permesso al Paese di raggiungere un importante benessere economico, subisce così una pesante battuta d’arresto.

Vista da un altro punto di vista, questa “crisi” potrebbe anche rivelarsi positiva e farci conoscere, negli anni a venire, inediti modelli di lavoro e di impresa, modellati sulle nuove esigenze delle generazioni digitali. La loro apertura nei confronti di altre culture, l’attenzione ai temi di inclusività e sostenibilità, potrebbe generare quindi aziende “ibride” di successo.

Per facilitare la circolazione delle idee, dunque, è fondamentale investire in cultura, colmando quel gap che tanto fa preoccupare gli economisti e gli studiosi di tutta Italia.